Missione Monte Bianco

Marco è un ragazzo toscano che vive in provincia di Firenze. È un anno più giovane di me e mi ha contattato dopo aver visto qualche nostro video su YouTube. Ormai sono 4 anni che andiamo in montagna insieme e dal primo momento che ci siamo conosciuti Marco non mi ha mai nascosto che il suo sogno nel cassetto era di salire il Monte Bianco dalla normale italiana. 

Ogni anno abbiamo fatto un paio di avventure insieme. Qualche uscita più tecnica su roccia ed altre più nevose su ghiacciaio. Dal Castore alla Parrotspitze, dalla Cresta del Soldato alla via normale alla Cima Grande di Lavaredo, oltre al Caré alto ed alla Piramide Vincent. 

Per arrivare al nostro obbiettivo finale non abbiamo avuto fretta. Ho cercato di andare per gradi. Marco in questi ultimi 4 anni ha avuto modo di conoscere la montagna ma soprattutto se stesso. Ogni uscita abbiamo aggiunto un tassello per far sì che fosse pronto per salire in cima al suo sogno nelle migliori delle condizioni, sia fisiche che mentali.

Quest’anno è l’anno buono. Marco si è allenato intensamente e ora per completare la preparazione abbiamo programmato un’uscita di acclimatamento al rifugio Torino. Ci troviamo a Courmayeur il venerdì sera. Mangiamo una pizza, parliamo di montagna e delle avventure che ci aspettano. L’indomani saliamo con la prima funivia delle 7,30. 

Oggi il menù prevede l’Aiguille d’Entreves. Una cresta aerea mai troppo difficile ma neanche cosi scontata. L’avvicinamento scorre veloce e in un’ora e mezza siamo alla base della cresta rocciosa. Siamo i primi tra quelli che sono saliti con la funivia delle 7,30. Gli altri alpinisti che sono partiti dal Rifugio Torino stamattina sono molto più avanti. 

La cresta è pulita e decido di togliere i ramponi. Tutto va secondo i piani. Non un secondo di coda e Marco si diverte ad arrampicare sul filo di cresta con una vista a 360 gradi sul massiccio del Monte Bianco.

Ritorniamo al rifugio che sono le 13. Il tempo di mangiare un piatto di pasta e poi una meritata pennicchella. 

La sveglia del giorno dopo è puntata alle 4 meno 10. L’obbiettivo è la cresta di Rochefort. Una cresta valutata AD+, sottile ed affilata che culmina in cima all’Aiguille di Rochefort, a quota 4001 metri. 

Quest’anno le condizioni sono bellissime. La risalita fino alla gengiva la facciamo senza toccare un sasso. La neve dura e compressa con una bella traccia ci permette di arrivare alla base del Dente in un ora e 40. Le luci dell’alba illuminano il Bianco di rosa. Tra me e me penso “che figata, fra 10 giorni saremo lassù in cima”. Passato l’attacco per il Dente del Gigante la salita prosegue sulla cresta affilata con una bella traccia larga poco poco più di mezzo metro. A destra si scorge il vallone dove si trova il Rifugio Boccalatte e a sinistra la Valle Blanche. Qui procediamo concentrati e facendo attenzione ad ogni passo fino alle roccie finali, dove con tre tiri di corda arriviamo in cima al nostro primo 4000 di stagione. Per Marco è il suo ottavo 4000. Sicuramente il più impegnativo tecnicamente affrontato finora, ed infatti la felicita è tanta. Ci prendiamo il tempo di fare un po’ di foto e qualche selfie prima di iniziare le 3 calate che ci riporteranno sul fil di cresta. 

Oggi è domenica e siamo gli unici su questa parte del Monte Bianco. Con queste condizioni penso “che strano”, ma meglio cosi! 

In 7 ore siamo di ritorno al Torino dove ci aspetta un buon piatto di lasagne vegetariane ed una crostata. 

Ci salutiamo e ci diamo appuntamento alla domenica seguente, dove ho programmato l’ultima parte di acclimatamento in vista del nostro obbiettivo finale.

È domenica Pomeriggio. Saluto Rudi e Riccardo che sono stati con me tutto il weekend. Alla loro prima esperienza con i 4000 si portano a casa Punta Giordani 4046m, Piramide Vincent 4215e Corno Nero 4322m. Che bravi!

Con Marco ci troviamo direttamente a Punta Indren e ci incamminiamo vero il Rifugio Mantova a quota 3500 dove trascorreremo la notte.  Il Giorno dopo partiamo alle 5 e con passo regolare senza correre in due ore siamo in cima al Corno Nero, a 4322m. Questo piccolo test sulle condizioni di Marco mi fa pensare che sul Bianco ci divertiremo un casino. 

Alle 10 siamo di nuovo a Gressoney per una seconda colazione. Che bello andare in Montagna cosi!

Scendendo verso valle ci fermiamo ad un mini market locale per farci fare due bei panini per il pranzo del giorno dopo. Toma locale e pomodoro per me. Prosciutto e fontina per Marco.

Arriviamo a Courmayeur nel primo pomeriggio. Ci prendiamo il tempo necessario per fare gli zaini. Tutto quello che è superfluo deve stare a casa cosi da essere il più leggeri possibile. 

Cosa metto nel mio zaino?

Imbrago, casco, Ramponi, picca, 1 bastone, 2 fettucce giro doppio, 1 cordino in kevlar giro doppio ed uno giro singolo, una vite da ghiaccio, un discensore, una micro-traction, un t-blok, 4 ghiere, corda singola da 40 metri, battery pack e cavo per il telefono, Garmin inReach, macchina foto, uno spazzolino da denti, guanti leggeri e guanti pesanti, piumino, guscio, termica, l’immancabile scaldacollo Avventuriamocitutti, fascetta di lana, visierino, occhiali da sole, frontale, barrette, e sali. Alzo lo zaino e penso che sono stato bravo. Marco mi guarda stranito e mi chiede se ho tutto dentro lo zaino o se ho tralasciato qualcosa. Guardo il suo zaino e sorridendo gli rispondo “è tutta esperienza”. 

Pernottiamo all’albergo Valle Blanche a Courmayeur. L’indomani a colazione non ci facciamo nessun problema a mangiare come se ci fosse il rischio di non mangiare più per settimane. 

Verso le 8,15 partiamo e lasciamo la macchina davanti all’albergo. Lorenzo, un mio amico, ci fa il favore di portarci fino alla sbarra in fondo alla Val Veny. Da qui inizierà la nostra avventura prima verso il rifugio Gonella e poi verso il Monte Bianco.

Per me è la prima volta che salgo il Monte Bianco da questo versante e l’ambiente è semplicemente spettacolare. A differenza delle altre parti del massiccio qui si respira una sensazione vera di solitudine e di impotenza. La prima parte dell’avvicinamento avviene sul ghiacciaio del Miage, o quel che ne rimane. Ormai è una distesa di ghiaccio nero coperta da detriti. Avanziamo su terreno pianeggiante per qualche chilometro e in lontananza si scorge la latta color argento del Gonella. È già un paio di ore che camminiamo e il rifugio sembra ancora bello lontano, ma d’altronde sapevo che oggi non sarebbe stato un’avvicinamento regalato.

Durante la nostra salita verso il rifugio conosciamo Luca, anche lui Guida Alpina, con il suo cliente Sighis, dalla Lituania. Luca, oltre ad essere una Guida è anche un forte alpinista e arrampicatore e lo riconosco perché è stato ospite un paio di volte al podcast dei Ragni di Lecco. Se vi piace sentir parlare di montagna fate un salto sul loro canale YT. È figo!

Arrivati alla fine del lunga tratta pianeggiante su ghiacciaio cominciamo a salire su un “sentiero” a tratti molto esposto che termina su una specie di ferrata dove un cavo metallico ci accompagnerà fino al rifugio. Arriviamo al Gonella che sono le 13,30. Circa 5 ore per completare questi primi 1400m di riscaldamento. 

Il rifugio è moderno e l’accoglienza di Mauro e dei due ragazzi spagnoli ci fanno sentire subito a casa. Davanti a noi ghiacciai enormi con buchi che fanno paura. Ci godiamo questo spettacolo della natura  idratandoci subito con una bella coca cola e poi, per non farci mancare niente, una bella Birra Moretti con crostata. Mentre facciamo merenda vedo un foglio attaccato al muro con su scritto Colazione ore 00,00. Sorrido. Non credo di essermi mai svegliato cosi presto per andare in montagna.

A mezzanotte e mezza partiamo. Io, Marco e Luca con Sighis siamo i primi a lasciare il rifugio. Secondo me hanno tutti aspettato che facessero strade le Guide italiane quando la verità è che ne io ne Luca siamo mai saliti da questa parte. Intorno a noi è buio pesto e l’unica cosa a farci strada è la traccia di chi è salito nei giorni precedenti. Partiamo con un ritmo blando. So bene che la salita è lunga e anche se Marco è in forma non voglio rischiare di tirargli il collo. Tra un crepaccio e l’altro arriviamo in prossimità della rampa prima della cresta che ci porterà al Piton des Italiens. Qui la salita per circa un 100 metri di dislivello si impenna con pendenze fino ai 45 gradi. Importante in questo punto cercare la traccia che tende verso sinistra e non fare come abbiamo fatto noi che siamo andati su dritti per dritti negli sgrebeni. 

Superato questo tratto delicato, la salita riprende su una cresta affiliata fino al Dome du Gouter, dove la via italiana incrocia la via normale francese.

Le luci delle nostre frontali fanno spazio alle prime luci dell’alba e in lontananza vediamo le cordate di alpinisti partite questa mattina dal rifugio francese. Finora la temperatura è stata plaisir, anzi, quasi caldo sul ghiacciaio del Dome. Qui invece un vento forte mi fa pensare che una calzamaglia potevo mettermela. Ci fermiamo al bivacco Vallot per fare una piccola pausa e scaldarci. Da questo punto mancano ancora 500 metri di dislivello. 

Marco sta bene e nei suoi occhi vedo l’energia di qualcuno che è a pochi passi dal realizzare il suo sogno. Procediamo con un buon passo superando gran parte delle cordate che ci precedono. Sono le 5 e 43 quando il sole buca le nuvole in lontananza. Nel giro di pochi minuti si tinge tutto di sabbia color deserto. Spettacolo. A pochi metri dalla vetta comincio a pensare a tutto il viaggio che c’è stato per arrivare fino a qui e tra me e me penso “caxxo ce l’abbiamo fatta!!”.  Sono gli ultimissimi metri, mi giro, guardo Marco emozionantissimo e senza dirci niente ci abbracciamo. 1800 metri di dislivello e 6 ore dopo essere partiti dal Gonella siamo in cima al tetto d’Europa. Quattromilaottocentodieci metri di emozione e felicità che non si possono descrivere. 

Un grazie di cuore a Marco per questa esperienza, sei stato un compagno di viaggio fantastico, un lottatore e una persona dal cuore grande. Chiudiamo questo capitolo ma solo per aprirne un altro. Cosa ci riserverà il futuro. Chi lo sa? Intanto per un pò ci godiamo questa. 

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